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Questo progetto, essenzialmente nato alcuni anni fa, quale omaggio alla grande arte di Joni Mitchell, ha poi preso strade autonome, proponendosi oggi come una sorta di profonda analisi sul tema “canzone” in rapporto con l’entourage della musica “intelligente”.

Si conosce bene come la cantante e compositrice canadese sia fondamentalmente un vero e proprio culto per musicisti di ogni genere. Pittrice di talento, oltre che vera e propria musa ispiratrice di un’intera generazioni di musicisti pensanti, ha sempre accolto nel suo mondo espressivo generi e linguaggi diversi, utilizzandoli spontaneamente, facendone colori sulla sua personalissima tavolozza. La sua vastissima produzione, in 35 anni sulla scena, va dai tempi di Woodstock (leggi Crosby, Stills & Nash, James Taylor e – in genere – dell’intera comunità californiana del tempo) ad oggi. L’influenza progressivamente crescente del jazz ha in molti casi profondamente operato sulle sue procedure compositive. Dalle sue collaborazioni con musicisti quali Charlie Mingus, Wayne Shorter, Jaco Pastorius, Herbie Hancock, sono nate pagine musicali di grandissima originalità e raffinatezza; brani che lei stessa definisce (nelle note di copertina di “Mingus”) come “audio paintings”.
Quadri in cui la parola e i suoi ritmi costituiscono l’ossatura dell’ invenzione melodica.
Il concerto è dedicato a lei.

“So right” , primo omaggio discografico a lei dedicato, pubblicato da Cam Jazz nel 2005, è diventato un piccolo “classico”, che ha girato in lungo e largo l’Italia, approdando anche al Blue Note a New York nel 2007, ripercorreva con grande leggerezza il percorso jazzistico interno alla sua musica e riverificandolo attraverso le filosofie contemporanee (si pensi a Bjork, per molti, la vera prosecutrice di una parte del suo agire musicale). Questa nuova versione attinge ad altre pagine della infinita produzione della Mitchell, andando a toccare anche brani nati dall’incontro di grandi Jazzisti come Mingus, Pastorius, Wayne Shorter…
Un progetto ambizioso e difficile perché va a toccare corde “sacre” della storiografia della più intelligente musica popolare moderna. Una sorta di scommessa che, guarda caso, solo un gruppo di jazzisti, decisamente qualificati e professionali possono accettare.

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